Onorevoli Colleghi! - Nel luglio del 2001, in occasione della riunione del G8, la città di Genova fu teatro di una violenza inaudita. Il 20 luglio, in un clima ormai esasperato dalla pessima gestione politica e amministrativa da parte delle Forze dell'ordine, veniva ucciso, nel corso di una manifestazione, il giovane Carlo Giuliani. Uno spettacolo indegno si presentava in quei giorni agli occhi dell'opinione pubblica nazionale e internazionale: una città trasformata in un campo di battaglia, in cui gruppi di «black bloc» giravano indisturbati per la città distruggendo, saccheggiando e attaccando violentemente le Forze di polizia, mentre i cortei organizzati dalle organizzazioni pacifiste e regolarmente autorizzati venivano più e più volte caricati dalle Forze dell'ordine. Le manifestazioni organizzate dal Genoa Social Forum, infatti, cui aderivano numerosi collettivi e organizzazioni pacifisti, circoli ARCI, Rete Liliput e altri ancora, venivano fatte oggetto di numerosi attacchi da parte delle Forze di polizia, che in quella occasione hanno fatto uso di oltre 6 mila lacrimogeni. Il corteo del 21 luglio, solo per fare un esempio, al quale presero parte circa 300 mila persone, partito regolarmente, perché regolarmente autorizzato, si snodava per un paio di chilometri, lungo i quali veniva ripetutamente caricato dalle Forze di polizia che lo dividevano in diverse tronconi, il primo dei quali continuava il suo percorso, mentre i rimanenti venivano più volte caricati dalle Forze dell'ordine senza una spiegazione apparente.
      Oltre alla gestione delle strade e dell'ordine pubblico «in piazza» e alla tragica

 

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morte di Carlo Giuliani, i giorni del luglio 2001 sono tristemente noti anche per i fatti della caserma di Bolzaneto e per l'irruzione nella scuola Diaz. Per entrambe le drammatiche vicende la magistratura sta facendo il suo corso, ma spetta comunque al Parlamento chiarire le responsabilità politiche e amministrative che hanno permesso ciò che ha indotto Amnesty International a parlare del nostro Paese, e di Genova in particolare, come del «teatro della più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale».
      Nella caserma di Bolzaneto era stato allestito un centro di raccolta per i manifestanti sottoposti a misure di fermo. Secondo quanto riferito dagli oltre 200 fermati che furono condotti nella caserma, e come risulta anche agli atti del procedimento giudiziario tuttora in corso, i fermati furono sottoposti a ogni tipo di trattamento disumano: sputi, minacce, schiaffi, calci, obbligo di rimanere in piedi di fronte ai muri, le gambe e le braccia allargate, per ore e ore, perquisizioni personali umilianti, effettuate senza fare alcuna differenza tra uomini e donne, privazione di cibo e di acqua per lungo tempo; un ragazzo sarebbe stato obbligato a camminare a quattro zampe e ad abbaiare, mentre le ragazze sarebbero state sottoposte a minacce di stupro. Il tutto, naturalmente, senza che i fermati potessero in alcun modo comunicare con l'esterno e con il proprio avvocato. Una vicenda che indigna e umilia e che nessuna giustificazione avanzata - quale quella che si sarebbe trattato di «mele marce» tra i funzionari - può in alcun modo giustificare. Il Parlamento e il Paese hanno diritto di sapere chi era il responsabile della caserma di Bolzaneto, chi era a conoscenza della palese violazione dei diritti umani cui sono stati oggetto i fermati e ha taciuto, quale dirigente ha assistito alle brutalità loro inferte - degne di un regime militare quale quelli in passato tristemente conosciuti in America latina - e chi ha materialmente posto in essere tali comportamenti, che sono punibili ai sensi del codice penale.
      L'irruzione nella scuola Diaz, invece, è stata effettuata nel corso della notte e ha colto gli occupanti nel sonno. Uomini armati, con il volto coperto con caschi o con sciarpe in maniera tale da non poter essere identificati, hanno fatto irruzione nei locali colpendo ripetutamente i giovani che vi dormivano. Il blitz fu giustificato con prove che si sono poi rilevate false, costruite «su misura» da uomini della Polizia di Stato. Le 93 persone arrestate nel corso del raid dichiararono di non aver opposto resistenza - anche perché colte nel sonno - e nonostante ciò di essere state sottoposte a percosse di ogni tipo: 82 di queste risulteranno infatti ferite. Gli arrestati furono accusati di resistenza a pubblico ufficiale, detenzione di armi, appartenenza a un'organizzazione criminale dedita al saccheggio e alla distruzione della proprietà: tutte accuse che al termine delle indagini, nel febbraio 2004, si sono rilevate false e i cui procedimenti sono stati archiviati per mancanza di prove. Anche in questo caso i cittadini e le cittadine del nostro Paese e il Parlamento devono poter conoscere i responsabili di tale vero e proprio abuso di potere. Chi ha dato l'ordine di effettuare il blitz, chi vi ha effettivamente partecipato, chi ha costruito le false prove per giustificare il comportamento delle Forze dell'ordine, chi erano i componenti delle Forze dell'ordine che si celavano dietro sciarpe e caschi nel corso dell'irruzione?
      La morte del giovane Carlo Giuliani, infine, rappresenta l'evento più tragico e terribile di quei drammatici giorni. La dinamica dei fatti mostra non solo la totale mancanza di coordinamento tra le Forze dell'ordine sul campo, ma anche il salto di qualità che la gestione dell'ordine pubblico ha compiuto in occasione del G8. Fare luce sull'uccisione del giovane Giuliani è un dovere cui deve rispondere uno Stato democratico nei confronti delle proprie istituzioni e dei propri cittadini e cittadine, ma anche e soprattutto nei confronti del dolore della famiglia che ha il diritto di conoscere i responsabili della morte del proprio figlio, e non solo il responsabile materiale. Anche qui è necessario rispondere a domande precise: chi in quei giorni aveva il compito di
 

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gestire la piazza e gli spostamenti delle Forze dell'ordine sul campo, chi ha dato l'ordine di utilizzare le armi da fuoco contro i manifestanti, chi aveva il compito di coordinare le Forze dell'ordine, perché un corteo regolarmente autorizzato è stato caricato e disperso in maniera inspiegabile, creando le condizioni che hanno portato alla morte di Carlo Giuliani?
      Responsabilità politiche, dunque, da iscrivere a carico del passato Governo Berlusconi e sulle quali deve essere fatta piena luce, ma anche responsabilità amministrative che non sono state affatto chiarite nel corso di questi cinque anni. La sequenza dell'uccisione del giovane Carlo Giuliani è semplice e sconcertante. Il corteo proveniente dallo stadio Carlini, infatti, era stato inizialmente autorizzato fino a piazza Verdi, ma è stato inspiegabilmente caricato a 300 metri dalla medesima piazza. Verso le 16,30 il corteo cercava di fare ritorno allo stadio Carlini, ma veniva ancora ripetutamente caricato. In questo contesto, nella confusione che ne era seguita, con i manifestanti che cercavano riparo nelle vie laterali, si sono create le condizioni nelle quali ha trovato la morte Carlo Giuliani in piazza Alimonda. Qui da un defender, rimasto inspiegabilmente sul posto mentre il resto delle Forze dell'ordine si era allontanato, Antonio Placanica ha sparato contro Carlo Giuliani perché (così lo stesso Placanica si difenderà) impaurito dal fatto che questi teneva tra le mani un estintore con la presunta intenzione di colpirlo. Dopo gli spari il defender è passato ben due volte sul corpo del giovane ormai esanime a terra. Il processo a carico di Antonio Placanica, che si autoaccusa di aver sparato, in realtà non arriva a essere celebrato perché il giudice per le indagini preliminari, dopo un'indagine frettolosa e piena di lati oscuri - nel corso della quale si è addirittura ipotizzato che Carlo Giuliani sia stato colpito da un proiettile sparato in aria che sarebbe stato deviato da un calcinaccio o da un sasso (!!??) - ha accolto la richiesta di archiviazione per legittima difesa avanzata dal pubblico ministero, formulando un giudizio di assoluzione.
      Queste le vicende - irruzione alla scuola Diaz, fatti della scuola di Bolzaneto e uccisione del giovane Carlo Giuliani - alle quali il Comitato istituito il 2 agosto 2001 nell'ambito delle Commissioni Affari costituzionali delle due Camere, per lo svolgimento di apposita indagine conoscitiva, non ha saputo e non ha potuto dare risposte. La mancanza di una Commissione parlamentare di inchiesta, infatti, non ha consentito di fare piena luce sulle responsabilità di carattere generale e sui singoli fatti specifici accaduti a Genova in quei tragici giorni. La reticenza, le dichiarazioni confuse e contraddittorie di coloro che sono stati auditi dal Comitato non hanno consentito una ricostruzione puntuale della dinamica dei fatti, l'accertamento delle responsabilità dei funzionari delle Forze dell'ordine sul campo e di coloro che avevano il compito di coordinare le Forze di polizia, carabinieri, guardia di finanza.
      Solo una Commissione parlamentare di inchiesta, infatti, è in grado di rispondere agli interrogativi fin qui posti e soprattutto di verificare se nel nostro Paese in quei giorni si sia effettivamente assistito a «una sospensione dei diritti democratici», come denunciato da Amnesty International.
      Lo strumento della Commissione di inchiesta è l'unico, inoltre, che può stabilire anche come mai gruppi di «black bloc» abbiano potuto agire indisturbati in diverse parti della città, senza che le Forze dell'ordine siano state in grado di fermarli e di circoscriverne l'azione, mentre una violenza di una atrocità inaudita si è invece abbattuta su migliaia di dimostranti, i cui cortei, regolarmente autorizzati, sfilavano per le vie della città al di fuori della cosiddetta «zona rossa».
      Tutti interrogativi sui quali il Parlamento ha il dovere di fornire una risposta chiara ai cittadini e alle cittadine del nostro Paese, ma anche ai rilievi mossi dal Parlamento europeo che, con un documento adottato il 15 gennaio 2003, la risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea (2001/2014 (INI)), ha ufficialmente mosso accuse nei confronti dell'Italia per i fatti di Genova.
 

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